Alle origini della letteratura alpina

Notre grand alpiniér

Libero itinerario alle origini della letteratura alpina

di Angelo Recalcati

(Pubblicato nel 2002 nel catalogo “Dall’Orrido al Sublime” a cura di G. Garimoldi)

Orizzonti invisibili

Le montagne corrugano la superficie terrestre da decine di milioni di anni e l’uomo ha cominciato vivere tra esse da qualche migliaio di anni. Ma solo da poco più di due secoli è fortemente attratto da un richiamo particolare delle loro sommità. Del tutto diverso e nuovo da quello derivato dal sentimento mistico o religioso da sempre associato ai monti, comune a gran parte delle civiltà, che però ne sottolinea ancor più la lontananza e l’inaccessibilità. É un richiamo nato e sviluppatosi al convergere di idee, concezioni e attitudini nuove verso la natura, che gli hanno fornito lo stimolo e la chiave per percepire e apprezzare tale nuovo dominio

Nonostante qualche isolato precursore avesse appena intuito o assaporato questa nuova esperienza dell’andar per monti, una preziosa riserva di emozioni, esperienze, avventure è rimasta pressoché intatta, come una miniera nascosta, per rivelarsi appieno soltanto in un ben determinato periodo storico. Infatti solo da una decina di generazioni ciò che chiamiamo Alpinismo ha preso a diffondersi e svilupparsi vorticosamente, con una varietà di modi e complessità di atteggiamenti sempre maggiore.

Stentiamo a immaginare le sensazioni che potevano sorgere in chi, diversi secoli or sono, dalla pianura padana osservava lo spettacolo della catena alpina in una giornata limpida. Dalle risaie del Vercellese o del Novarese o dalle marcite lombarde si delineano, con l’eccezione del Monte Bianco, gran parte delle vette alpine a meridione dello spartiacque. Eppure solo un monte ha ricevuto attenzione e un nome sin dall’antichità classica. E ciò lo deve alla sua apparente altezza, a quel tempo giudicata la massima delle Alpi, e alla distinguibile sagoma appuntita per la quale è stato fin da allora individuato e nominato. É il Vesulus, il Monviso, il cui nome ci è stato tramandato dal decimo libro dell’Eneide ed è stato poi citato da Dante, Petrarca e nel XIV secolo da Chaucer. Una eccezione che sembra darci la conferma di una senso di disinteresse o almeno di smarrimento di fronte a quella lunga e frastagliata catena di cime innevate e no. Forse lo stessa sensazione di smarrimento che ci coglie se osserviamo il cielo notturno senza conoscere le costellazioni. Il senso di una mancanza di punti di riferimento per collocarci nello spazio. Quasi che la connaturata tendenza a individuare, riconoscere e registrare le caratteristiche dei luoghi che ci circondano, si fosse fermata ai piedi della barriera alpina

Ancora nel Rinascimento gli autori di trattati geografici si ispiravano in gran parte agli autori greci e romani per trarre notizie sulle Alpi, attingendo soprattutto alle loro opere sulle guerre per l’espansione dell’influenza romana. Ci riferiamo a Flavio Biondo, Leandro Alberti, a Gaudenzio Merula o a Bonaventura Castiglione per i quali l’autorità dei testi classici era ancora tale che un riferimento a loro sembrava valere quasi più di una osservazione diretta. Significativa era la permanenza a quei tempi di singolari concezioni geografiche derivate dai concetti Tolemaici, come per esempio quella di spartiacque alpino. Secondo tale concezione i maggiori fiumi delle Alpi dovevano necessariamente originarsi dalle montagne più elevate e poiché alla zona del Gottardo sono riferibili le sorgenti di diversi dei maggiori fiumi europei, qui aveva sede il tetto delle Alpi. Questa teoria è in parte riscontrabile anche negli scritti di Leonardo, che però associa la caratteristica di massimo spartiacque al Monboso (identificabile col Monte Rosa), probabilmente per l’evidenza con cui il Monte Rosa supera per altezza e imponenza ogni altra vetta delle Alpi viste dalla pianura padana. Rarissime sono state le persone che abbiano lasciato una testimonianza diretta della curiosità e dell’interesse che la visione di queste vette potevano suscitare. L’unica testimonianza sicura e nota, fino alla metà del settecento, è stata proprio quella di Leonardo da Vinci, con i suoi tre disegni delle Prealpi Lecchesi da Milano e dalle rive dell’Adda, conservati nella Biblioteca Reale di Windsor1. Leonardo quei monti li conosceva bene, avendone percorso le pendici più volte; li poteva perciò riconoscere anche da lontano ed essendogli nota la loro “anatomia” ne poté fare un perfetto ritratto, delineando esattamente creste, valloni e speroni rocciosi. Leonardo fu quindi un precursore anche nel “vedere” le montagne e in generale la natura, con lo stesso occhio indagatore con cui le avrebbe viste l’uomo di scienza moderno per il quale percezione e conoscenza sono un binomio interscambiabile. L’”invenzione” delle montagne, il loro ingresso nella cultura è perciò un effetto diretto della presa di coscienza della realtà del territorio alpino, dell’interesse che poteva riservare per lo sviluppo delle conoscenza della Natura e di una nuova sensibilità estetica. Un lungo percorso che inizia a imboccare la giusta strada dal XVI secolo.

La fuga dei draghi

I primi importanti testi della letteratura geografica delle Alpi nascono verso la metà del XVI secolo, nell’ambiente degli umanisti svizzeri, parallelamente al primo grande sviluppo della cartografia, in un’epoca che vede nascere un nuovo interesse per la “descrizione del territorio”, conseguenza anche dalla sconvolgente scoperta dell’altra metà della Terra. A nord delle Alpi, a differenza che in Italia, l’Umanesimo rivela anche uno spiccata attenzione e sensibilità per la natura e si apre ad una concezione che vede nelle montagne non più esclusivamente il luogo dell’orrido e del maligno, ma anche l’opera dell’Architetto Sovrano, la sede di fenomeni vitali e la fonte di ricchezze minerali, vegetali ed animali2. Conrad Gesner3, Aegidius Tschudi4 pubblicano descrizioni delle regioni alpine, comprese nella Svizzera, frutto di una conoscenza diretta del terreno, rivelando nel primo una singolare sensibilità a stimoli ed emozioni che saranno comuni all’alpinismo. É con il loro coetaneo zurighese Josias Simler5 (1530 – 1576), autore del Vallesiae descriptio, Libri duo. De Alpibus commentarius.6, che viene redatto il primo compendio generale delle Alpi. Mai si erano prima trattati con tale ampiezza così tanti temi che riguardavano l’intero arco alpino. Si passa dagli aspetti geografici (con la classica suddivisione e l’individuazione dei passi e dei relativi itinerari), a quelli idrografici (descrizione di sorgenti, fiumi, vari tipi di laghi, cascate), a quelli naturalistici (il clima e le precipitazioni, i cristalli e i minerali, la vegetazione e gli animali) a quelli umani con la descrizione degli antichi popoli alpini (conosciuti attraverso la trascrizione di Plinio dell’iscrizione augustea di La Turbie), per finire all’interessante capitolo sulle “Difficoltà e pericoli delle strade alpine e come si possono superare”, con una dettagliata disanima delle insidie dell’ambiente alpino e dell’equipaggiamento più adatto per superarli. Pur in gran parte ancorato alla solida tradizione dei classici e degli studi epigrafici, Simler utilizza anche fonti a lui coeve e attinge informazioni dall’amico Tschudi e sembrerebbe anche dall’opera di Guglielmo Grataroli7, per il capitolo inerente ai problemi pratici che comportano i viaggi alpini.

L’esperienza del passaggio delle Alpi costituiva una sorta di prova iniziatica obbligata per chi, dal Nord, veniva in Italia alla ricerca di nuovi stimoli culturali ed estetici. La barriera alpina, che si presentava come una immensa provocazione della Natura, non poteva lasciare indifferenti. Proprio questa esperienza ha fatto emergere, nella seconda metà del XVII secolo, i due nuovi aspetti relativi alle Alpi: l’aspetto scientifico e l’aspetto estetico che, uniti alla ormai acquisita individuazione geografica ereditata dal secolo precedente, indirizzeranno ad una definitiva presa di coscienza della realtà della Montagna nella cultura occidentale. Fu infatti traversando le Alpi che Thomas Burnet ebbe l’intuizione della sua idea cosmogonica espressa nella Telluris Theoria Sacra del 1680, in cui la montagna entra in primo piano in una nuova descrizione della natura. La sua visione, scaturita e sviluppata elaborando osservazioni empiriche, unite a considerazioni filosofiche, morali e religiose conforme ad una metodologia per noi ora del tutto inaccettabile, ma normale fino al XVIII secolo in cui le scienze naturali erano strettamente legate a quelle filosofiche, ebbe il merito di indicare nelle studio delle montagne la chiave per poter proporre una teoria della terra, obbiettivo scientifico perseguito dai maggiori naturalisti del ‘700, anche ad esempio da De Luc e De Saussure. Iniziarono così a porsi una lunga serie di nuovi problemi scientifici che portarono poi, ad esempio, al dibattito tra plutonismo e vulcanesimo; anche la scoperta e lo studio dei fossili, testimoniato nella Biblioteca da un esemplare dell’opera di Anton Lazzaro Moro8, ebbe un ruolo fondamentale per porre il problema della cronologia non solo della creazione della Natura, ma anche dell’evoluzione della stessa e in particolare dell’edificio alpino. Visitare e osservare le montagne era perciò un promettente modo per indagare i misteri della natura e ciò nel contempo rivelava un paesaggio di grande e drammatica suggestione, il cui apprezzamento iniziava ad essere in sintonia con le nuove concezioni estetiche

La figura di studioso che più si distingue in questo periodo è lo zurighese Johann Jacob Scheuchzer (1672-1733). Medico e naturalista, ma aperto a una vasta gamma di interessi e in più infaticabile camminatore, compì ben nove viaggi attraverso l’intera Svizzera dal 1702 al 1711, spesso in compagnia di allievi. Questa esperienza diretta sul terreno gli fornì i materiali per disegnare la più importante carta geografica di quel territorio, pubblicata in 4 fogli nel 1712. Nella sua opera più famosa, l’ Ouresiphoites Helveticus, sive Itinera alpina tria9, riversò una mole di osservazioni naturalistiche, etnologiche, storiche etimologiche e toponomastiche che non ha precedenti. Il suo magnifico corredo illustrativo, che la rende particolarmente preziosa, ci dà per la prima volta un vasto quadro, anche pittorico, suggestivo e originale delle Alpi, seppure a volte assai poco fedele. Non mancano osservazioni sulle attività contadine e gli utensili da lavoro, sulle stazioni termali; Scheuchzer fu forse il primo a tentare misure di altitudini col metodo barometrico e a proporre ipotesi su sorgenti intermittenti, venti periodici, ghiacciai, caverne di ghiaccio e il suo nome è immortalato nell’Eriophorum Scheuchzeri, il caratteristico pennacchio che cresce presso le zone umide alpine. Nella sua opera troviamo però anche sconcertanti aspetti che riflettono le drammatiche contraddizioni del seicento. In questo secolo ad eroici sforzi per dare alla scienza le sue fondamenta si alternano tragici soprassalti dell’irrazionalità, vi convivono Galilei e Athanasius Kircher, i principia Newtoniani e il Compendium Maleficarum del Guaccio, le sperimentazioni dell’Accademia del Nuovo Cimento, i roghi dell’Inquisizione e le colonne infami. Come già in Burnet, anche in Scheuchzer vengono a volte a mancare nell’osservazione della Natura e nell’elaborazione di ipotesi scientifiche quei presupposti fondamentali che caratterizzano la allora nascente metodologia scientifica. Così, nonostante fosse un socio della Royal Society e i suoi lavori avessero ricevuto “l’imprimatur” di scienziati del livello di Isaac Newton, nell’Itinera ci offre quello sconcertante catalogo di draghi alpini, giustificato da “circostanziate” e “veritiere” testimonianze, che ne costituiscono l’aspetto più stravagante. Ma si farebbe un grande torto all’opera di Scheuchzer se mettessimo in primo piano solo questa pur evidente singolarità ed i risvolti positivi sono di gran lunga superiori, essendo il risultato di un confronto diretto con la realtà alpina, perseguito con infaticabile impegno, che fanno di lui il primo grande esploratore delle montagne svizzere. Proprio il primo di coloro che con la loro opera hanno definitivamente (purtroppo… perché no?) sfrattato queste presenze aliene dai loro reconditi nascondigli. O li hanno relegati nelle lontane montagne himalaiane, dove talvolta fanno parlare di sé10.

Due professionisti dei ghiacciai

Per le popolazioni alpine, per i viaggiatori e per i naturalisti i ghiacciai hanno sempre costituito la presenza più misteriosa e affascinante dell’alta montagna. Attraverso i ghiacciai lo stesso mistero che avvolgeva l’alta montagna si propagava fino ai fondovalle. Il loro imprevedibile accrescimento poteva infatti giungere a minacciare seriamente pascoli e abitati; in più i movimenti e i suoni misteriosi che emettevano erano fonte di credenze e leggende. La loro evoluzione condizionava inoltre gli itinerari che mettevano in comunicazioni diverse comunità alpine e le loro linee di traffici, pur secondarie ma spesso vitali alla loro sopravvivenza. Anche per i naturalisti i ghiacciai costituivano un complesso e misterioso problema che li ha lungamente impegnati nella elaborazione di teorie. La vicinanza ai centri abitati e la facilità d’accesso dei ghiacciai di Grindelwald nell’Oberland Bernese, ha fatto sì che questi siano stati i primi ad essere visitati e studiati e dobbiamo a Merian11 la loro prima descrizione e illustrazione nel 1642. Assai più tardo è l’interesse per i ghiacciai del Monte Bianco, quantunque già dal 1685 Gilbert Burnet12, futuro vescovo di Salisbury, in una lettera a Robert Boyle citasse la misura dell’altezza effettuata da Nicolas Fatio de Duviller della montagne Maudite. Così veniva indicata la bianca cupola nevosa ben visibile da Ginevra, dalle rive settentrionali del Lemano e dalle alture del Giura, ma per il suo battesimo si dovevano attendere ancora diversi decenni (1744). Quella bianca presenza, già nel 1444 evidenziata dal pittore Konrad Witz, doveva rimanere lontano miraggio fino alle visite di William Windham, Richard Pococke nel 1741 e, poco dopo, di Pierre Martel. La diffusione dei resoconti delle loro visite13 sarà un forte stimolo per viaggiatori che, in ossequio ad una ormai acquisita sensibilità estetica per il paesaggio dell’alta montagna, giungeranno alla ricerca di emozioni nell’angolo più selvaggio del continente più civilizzato.

Gottlieb Sigmund Gruner colse il segnale di questa attenzione e curiosità di naturalisti e visitatori per i ghiacciai e pubblicò nel 1760 il suo Die Eisgebirge des Schweizelandes14 usando, così nota Freshfield15, non il latino accademico come Scheuchzer ma la lingua madre, per favorirne la diffusione. In effetti questo libro ebbe un notevole successo, fu ripubblicato16 con diverso titolo e tradotto in francese con bella veste tipografica. Tuttavia il lavoro di Gruner, studioso di modesta rilevanza e per di più sedentario e di salute malferma, è soprattutto di compilazione e le sue informazioni provengono principalmente da fonti indirette. Per gli aspetti più propriamente scientifici, come per la teoria sul movimento dei ghiacciai, egli attinge dai lavori di Johann Heinrich Hottiger e Johann Georg Altman17. Non ne migliora il livello qualitativo la traduzione francese di dieci anni posteriore che, quando non ne fa una riduzione, vi aggiunge altre imprecisioni. Anche il ricchissimo corredo iconografico risente di questi difetti, infatti la gran parte delle immagini deve più alla fantasia degli incisori che alla realtà e ciò vale particolarmente per la tredicesima tavola che rappresenterebbe, per la prima volta, la Mer de Glace e le vette del Monte Bianco. Ma proprio queste infedeltà nella raffigurazione dei paesaggi alpini, che troviamo anche in volumi di altri più importanti autori coevi, ci danno forse la misura del disorientamento, dell’emozione e della difficoltà di lettura di simili complesse e grandiose visioni sulle quali ci si affacciava per la prima volta.

Un ruolo di divulgatore analogo a quello di Gruner lo ebbe, per il Monte Bianco, il ginevrino Marc Theodore Bourrit (1739-1819), differenziandosi però nettamente dal primo per l’attivismo e l’entusiasmo tipico del dilettante appassionato…e interessato. Bourrit era cantore alla cattedrale di Saint-Pierre a Ginevra, ma anche pittore di ritratti e miniature, scrittore di opuscoli, giornalista e con molti altri interessi tra cui, poco nota, l’attività politica in favore dei Natif di Ginevra. Egli stesso era natif, cioè discendente dagli immigrati ugonotti giunti dopo la revoca dell’Editto di Nantes. Essi godevano di ben scarsi diritti ed erano in generale di condizione sociale assai modesta. Bourrit fu uno dei promotori delle iniziative per ottenere uno status migliore. Queste sfociarono in una sollevazione appoggiata dalla borghesia nel 1782 alla quale fece seguito una repressione del governo aristocratico, che favorirà pochi anni dopo il successo del processo rivoluzionario. Nel 1761 Bourrit scoprì l’affascinante mondo delle Alpi, vedendole dalle creste dei Voirons ed è senza dubbio la sua sensibilità estetica di pittore a indirizzarlo verso queste mete, non certo un interesse scientifico. La salita del Buet, un balcone panoramico sul Monte Bianco, e le sue visite dal 1766 alla valle di Chamonix, che inizia ad avere un costante flusso turistico, ne fecero una autorità in materia. Autorità che cercò di mettere subito a profitto, sia dipingendo vedute alpine, sia pubblicando nel 1773, con la sua caratteristica prosa enfatica, quella che avrebbe dovuto essere la prima opera sui ghiacciai della Savoia e al tempo stesso una guida per viaggiatori, la Description des Glacières de Savoie. Ma con grande suo scorno si vide precedere di poche settimane da un volumetto dal titolo Voyage pitoresque aux glacières de Savoye dal contenuto analogo al suo. L’autore si celava sotto le iniziali M. B. che sembravano scelte apposta per indurre in errore i lettori e far si che fosse attribuito a Bourrit18. In realtà l’autore era André César Bordier, esponente politico ginevrino (1746-1802), che dovette a lungo difendersi dalle animose accuse di scorrettezze e di plagio quantunque il suo libro avesse un singolare interesse. Infatti, oltre a essere comunque la prima guida alle montagne di Chamonix, vi è espressa una originale teoria sul movimento dei ghiacciai, basata sulla plasticità della massa glaciale, che troverà conferma oltre mezzo secolo dopo. Bordier non aveva alcuna autorità scientifica per sostenere la sua teoria e nessuno la prese in considerazione, ad iniziare da de Saussure che non lo cita nei suoi Voyages e ne parla sprezzantemente in una lettera alla moglie19; solo Tyndall la citerà esplicitamente un secolo dopo.

Il successo della produzione letteraria di Bourrit non fu per nulla intaccato dalla concorrenza; anzi quadri, incisioni e libri ebbero per l’historiographe des Alpes, come amava definirsi con la sua ben nota assenza di modestia, un rilevante risvolto economico. Bourrit ogni estate si trasferiva a Chamonix divenendo un importante punto di riferimento, un agente turistico insomma, per i visitatori che dalle poche decine dei primi anni 70 sarebbero saliti alle parecchie centinaia dei primi anni 80. La bega con Bordier fu solo l’occasione di uno di quegli esercizi di polemista nei quali eccelleva e che lo vedranno poi protagonista nel ben più importante “affaire” seguìto alla prima ascensione del Monte Bianco. Qui, manipolando con spregiudicatezza stampa e opinione pubblica, riuscì a distorcere fatti e meriti che solo in seguito un lungo e paziente lavoro di indagine saranno, ben oltre un secolo dopo, correttamente ricostruiti e attribuiti. Questo risvolto francamente odioso della personalità di Bourrit, originato forse dal frustrante fallimento delle sue ambizioni alpinistiche, non deve comunque far passare in secondo piano la sua importante opera di divulgatore delle bellezze alpine. Sono almeno sette le sue opere sulle Alpi, anche in due o tre volumi e impreziosite con carte e vedute da lui stesso eseguite. Pure de Saussure si avvarrà della sua opera di pittore per illustrare i Voyages dans les Alpes. Anche se il risultato artistico delle incisioni di Bourrit è alquanto modesto, soprattutto per la difficoltà di trasferire il fantastico mondo di forme, luci e colori dei ghiacciai e dell’alta montagna nell’incisione su rame, le sue immagini sono apprezzabili per accuratezza e verosimiglianza.

Passaggi di testimonio

Una spinta decisiva alla promozione del nuovo interesse per le Alpi e all’apprezzamento delle loro peculiarità estetiche venne anche da una singolare composizione poetica. L’autore poco più che ventenne, il bernese Albrecht von Haller (1708-1777), aveva apposto sul frontespizio delle edizioni successiva alla prima, del 1732 e anonima20, la qualifica di dottore in medicina che aveva conseguito a Leida a soli 19 anni. L’anno successivo era a Londra, dove fu presentato dal figlio di Scheuchzer, quasi un invito a raccoglierne l’eredità scientifica, a Hans Sloane, presidente della Royal Society, della quale Haller sarebbe diventato uno dei più prestigiosi esponenti. Man mano che le edizioni della raccolta delle sue poesie si succedevano, aumentava anche il numero delle qualifiche e delle accademie scientifiche delle quali era membro. Così pure la sua fama di personalità di prim’ordine, non solo nel campo scientifico, che ne faceva una di quelle ultime grandi figure che sembrava dominassero il sapere universale. Alla scienza ha dato importanti contributi nell’anatomia, nella fisiologia e nella botanica21, ma quel poemetto giovanile Die Alpen lo ha consacrato primo esponente della poesia svizzera ed è anche per questo che ancora oggi lo ricordiamo.

Per Haller le candide e brillanti cime dell’Oberland Bernese, quasi quotidiano sfondo della veduta a mezzogiorno della sua città, agirono da richiamo irresistibile, quale può essere un luogo dove si possa collocare un’utopia. Il suo poema Die Alpen è infatti la celebrazione di un luogo dove Natura e Umanità si incontrano per il conseguimento di un ideale di felicità, fuori dal corso della storia. Il poemetto fu composto sull’onda delle emozioni di un viaggio sulle Alpi nel 1729 e incontrò pienamente il gusto e la sensibilità dei contemporanei, ormai pienamente acquisiti nei confronti della natura alpina, divenendo un grande successo letterario e il manifesto di una nuova poetica della Natura e della Montagna. Precedendo gli Idyllen di Salomon Gessner (1756) e la Nouvelle Heloise di J. J. Rousseau (1761), Die Alpen sarà con loro una sorta di breviario estetico letterario che accompagnerà i turisti e una fonte per citazioni e riferimenti in numerose altre opere che riguarderanno le montagne svizzere. Più che una visione poetica della natura alpina Die Alpen è un inno alla vita e alle virtù delle genti montane e al tempo stesso un invito ad una nuova etica che prenda a modello una idealizzata vita alpestre, essa stessa unicità entro un’altra unicità. Quella della condizione della confederazione degli stati svizzeri, singolarità socio-politica nel cuore dell’Europa degli assolutismi, avviati alla profonda crisi di fine secolo. Proprio il mutare del clima politico culturale di fine secolo porterà ad oscurare e la fortuna del Die Alpen e la fama del suo autore. Paradossalmente proprio quando verrà pubblicata forse la più bella edizione del poema, che qui viene esposta. É una edizione bilingue francese-tedesca pubblicata a Berna nel 1795 e ornata da finissime incisioni di B. A. Dunker. Curiosamente il carattere di queste sembra rispecchiare un gusto estetico più vicino al momento della nascita del poema. Alcune delle vignette raffiguranti paesaggi alpestri, chiuse da cornici tonde ornate da figure allegoriche di piante e animali, rimandano infatti alle immagini prodotte da un dispositivo usato dai viaggiatori raffinati ai primi del ‘700. Si tratta dello “specchio di Claude”, uno specchio concavo che permetteva una visione del paesaggio, racchiuso entro una cornice, “dandone una leggera colorazione grigia e sfumandone i contorni, …evocando così l’atmosfera coloristica delle opere di Lorrain”22.

La figura umana di Haller acquista un’ulteriore particolare rilievo se consideriamo l’influenza che ebbe sul giovane H. B. de Saussure, col quale instaurò un lungo rapporto epistolare, e che fu decisiva per orientarne gli interessi. Charles Bonnet, naturalista e filosofo ginevrino e zio di Horace-Benedicte, lo aveva indirizzato verso le scienze naturali e lo presentò ad Haller, col quale era in stretti rapporti. La massima autorità nella botanica alpina, che stava preparando la sua monumentale descrizione della flora elvetica, fu prodiga di consigli e aiuti al giovane che lo avrebbe tempestato di campioni botanici raccolti nelle sue escursioni. Il motivo del suo primo viaggio a Chamonix nel 1760 fu proprio la raccolta di nuove specie da inviare ad Haller. Qui, di fronte alle visione delle sue linee maestose, sarebbe nata in lui la prima idea di salire il Monte Bianco a cui fece seguire l’annuncio, diffuso nei comuni della valle, di una ricompensa a chi avesse trovato una via di salita. In una lettera di Bonnet ad Haller, de Saussure fu indicato come “notre grand alpinier23: se proprio quel viaggio ha segnato una tappa fondamentale per la nascita di quello che sarà chiamato alpinismo, in quella lettera (del 1767) viene per la prima volta coniata una parola che, di poco modificata, indicherà chi cercherà l’avventura sulle montagne.

Certo, gli stimoli che saranno le ragioni propulsive dell’alpinismo nella sua prima fase sono secondari rispetto l’interesse scientifico per l’ambiente alpino. La montagna è infatti intesa più come un laboratorio scientifico sede di fenomeni nuovi che attendano di essere scoperti e spiegati. L’importanza primaria di questa prospettiva è evidente se osserviamo la differente risonanza che ebbero nei contemporanei la prima ascensione del Monte Bianco e la terza, l’anno successivo, di De Saussure. L’autorità scientifica di costui eclissa l’impresa, per noi ben più importante, di Paccard e Balmat e la immediata pubblicazione della Relation Abregée del ginevrino, così esauriente e autorevole sotto il profilo scientifico, ha l’effetto di rendere superflua quella di Paccard rispetto alla quale, in quella prospettiva, sarebbe stata sicuramente di minore interesse. E può essere anche questa una delle ragioni che portarono Paccard a rinunciare alla pubblicazione del suo racconto, già annunciato alle stampe. La pronta diffusione in varie lingue della relazione di De Saussure, i suoi stretti rapporti con gli ambienti scientifici d’Europa, gli hanno dato una fama e una popolarità ben superiore a quella dei due chamoniardi, tanto che non di rado la prima ascensione del Monte Bianco fu in seguito attribuita a De Saussure. Di questa superiore considerazione è anche testimonianza la ricca iconografia che celebra l’ascensione di de Saussure rispetto alla totale assenza di una analoga relativa ai primi salitori.

Dal M. Bianco al Gran Sasso…via Torino e Milano

Anche in Italia l’eco dell’impresa di De Saussure fu immediata. Venne invitato alla corte dei Savoia e accolto con tutti gli onori a Torino, dove già il 28 Novembre 1784 era stato eletto membro dell’Accademia delle Scienze. Giunto col figlio, testimoniò lui stesso l’entusiastica accoglienza, scrivendo il 6 ottobre 1787 alla moglie: “La relazione del mio viaggio ha avuto qui molta risonanza. Un marchese molto affabile l’ha tradotta in italiano e pure assai bene, e tutti, persino i camerieri d’albergo, la leggono e ne discutono”24.

Con il titolo: “COMPENDIOSA RELAZIONE/ D’UN VIAGGIO/ ALLA CIMA DEL MONBIANCO/ IN AGOSTO DEL 1787/ DA H.B. DI SAUSSURE/ RECATA IN ITALIANO/ DA F.S.M./ AGGIUNTAVI UNA TAVOLA/ DELL’ALTEZZA/ DELLE PRINCIPALI MONTAGNE/ FINORA MISURATE.” apparve quindi a Torino la traduzione della Relation Abregée, presumibilmente ai primissimi di ottobre del 1787, circa un mese dopo l’uscita dell’originale. Questo opuscoletto di 36 pagine in 8° (13x21cm), senza data e luogo di stampa, è nientemeno che il primo libro di alpinismo scritto in italiano. Prototipo di quella letteratura alpinistica che nasce in primo luogo come documentazione e diverrà sempre più in seguito espressione di una esigenza connaturata alla derivazione essenzialmente romantica dell’alpinismo. É quindi doveroso chiarire tutti gli aspetti della sua pubblicazione e confermare ora il pieno riconoscimento al traduttore “marquis fort aimable” che, celatosi sotto le iniziali F. S. M., è stato in passato oggetto di varie attribuzioni. Già infatti dal 1921 Mario Zucchi25 lo aveva individuato in Felice San Martino conte della Motta. La notizia però non aveva avuto diffusione nell’ambiente alpinistico e non era quindi giunta agli studiosi anglo francesi, che quasi detenevano il monopolio della pubblicistica storica sull’alpinismo, specie sul Monte Bianco.

La prima notizia bibliografica sulla traduzione italiana della Relation Abregée, fonte di vari fraintendimenti, risale a Jean-Louis Grillet. Elencando nel suo Dictionnaire Historique…26 le opere del Chevalier Vichard de Saint-Réal, riporta la “Compendiosa relazione di un viaggio alla cima del Monte-Bianco, fatta dal signore Orazio Benedetto di Saussure, nell’agosto del 1787, tradotta in Italiano, dal cav di S.-Real, 1787, in-8°”. Nonostante la somiglianza del titolo, l’indicazione esplicita del traduttore fa sorgere il dubbio che si tratti di una traduzione diversa. Henry F. Montagnier27 nel suo studio bibliografico sulle prime ascensioni del Monte Bianco, non avendo potuto consultare alcun esemplare originale della traduzione italiana, riporta l’indicazione di Grillet. Ma a tutt’oggi non si è riusciti a individuare una copia come quella descritta da Grillet e inoltre, significativo precedente negativo, proprio il suo Dictionnaire Historique è all’origine anche della leggenda della relazione perduta di Paccard, essendo lì per la prima volta citata come pubblicata. Tutto ciò induce a seri dubbi sull’accuratezza bibliografica di Grillet, già per altro avanzati da Montagnier28.

Douglas W. Freshfield nella sua autorevole biografia di De Saussure scritta in collaborazione con Montagnier29, riportando il brano della lettera di De Saussure alla moglie da Torino, vista più sopra, attribuisce invece al “marquis fort aimable” l’identità del Marquis de Brezé. Si tratta di Giovacchino Argentero Marchese di Bersezio, “protecteur” di de Saussure30 nella sua visita a Torino, membro dell’Accademia delle Scienze e autore di vari studi scientifici e militari. Appare tuttavia singolare che nella lettera de Saussure voglia indicare il traduttore in modo così indefinito, se poi quella persona è proprio colui che gli dimostra così tante attenzioni durante la sua visita a Torino e che peraltro cita esplicitamente due righe più sotto nella stessa lettera; inoltre mancano validi espliciti indizi per suffragare questa ipotesi. Anni dopo Montagnier, certamente non convinto di questa attribuzione, ritorna sull’argomento curando l’epistolario tra de Saussure e la moglie. Nelle note alla lettera da Torino del 6 ottobre31 non indica più il marchese di Brezé ma, avendo potuto consultare alla biblioteca Nazionale di Torino un esemplare della relazione tradotta da F.S.M., ritiene che sotto queste iniziali si nasconda il “marquis fort aimable”, e che quella del Saint-Real, se esiste, è certamente un’altra traduzione; tanto più che in quella effettuata da F.S.M, in una sua nota a p. 31 a proposito di una misura d’altezze, è citato esplicitamente il Cavaliere di Saint-Real.

In tempi a noi più vicini la questione rimaneva ancora non chiarita, poiché l’ipotesi di Freshfield del marchese di Brezé è stata avanzata pure da Ada Peyrot nel catalogo alla mostra del bicentenario dell’ascensione di De Saussure32 e ancora recentemente F.S.M. era ritenuto il soggetto di un “giallo bibliografico”33.

In realtà sotto le iniziali F.S.M. si cela Felice San Martino conte della Motta (Torino 8 febbraio 1762-Torino 10 novembre 1818), figlio unico di Giuseppe Luigi (1736-1814)34. Si laureò in giurisprudenza appena diciottenne, ma i suoi interessi si orientarono poi verso le Lettere e le Scienze e appena ventiduenne fu eletto membro dell’Accademia Reale delle Scienze di Torino. I suoi studi di elettrologia sono frutto anche degli insegnamenti di Giovanni Battista Beccaria che, come egli stesso ci fa sapere35, fu suo “amatissimo Maestro”. Sue prove letterarie, tra cui la traduzione del Numa Pompilio di Florian, sono presentate nella “Biblioteca oltremontana ad uso d’Italia, con la notizia di libri stampati in Piemonte” pubblicata a Torino nella Reale Stamperia. Questo mensile di notizie bibliografiche fu da lui fondato all’inizio del 1787 e ne fu direttore e in buona parte redattore fino alla sua conclusione nel 180436. E proprio qui verifichiamo il legame diretto tra Felice San Martino e la traduzione. Infatti nel numero X (ottobre) del 1787 della suddetta rivista, segnalando la pubblicazione della Relation Abrégée di De Saussure, annuncia: “Quest’opuscolo essendo così interessante e breve, credo far cosa grata ai leggitori il presentarlo qui fedelmente tradotto”. Il testo è da p. 44 a p. 76 e il traduttore vi ha aggiunto brevi note e sei pp. con l’indicazione delle altezze delle montagne allora conosciute e si conclude con la sigla F.S.M. Fu quindi contemporaneamente pubblicata la versione in opuscolo autonomo con l’aggiunta di un frontespizio, con il titolo sopra indicato, e di un fregio alla pagina 1, al posto delle indicazioni bibliografiche della Relation abregée e dell’annuncio sopra riportato, il resto con la medesima composizione tipografica. Si presume quindi che sia stato stampato nella medesima Reale Stamperia di Torino.

Ma per questa traduzione vi fu in Italia un altro canale di diffusione, rivolto soprattutto al mondo scientifico. De Saussure aveva familiarità non solo con gli ambienti torinesi, bensì intratteneva rapporti con numerose personalità scientifiche lombarde, rinsaldati dalle visite che fece a Milano e a Pavia nel 1771 e 1780, dove incontrò Paolo Frisi, Ruggero Boscovich, Cesare Beccaria e Lazzaro Spallanzani o a Como da Alessandro Volta nel 1779, che già aveva conosciuto a Ginevra nel 1777 Quindi anche in questi ambienti l’impresa di De Saussure ebbe vasta risonanza (quantunque Volta si lamentasse in una lettera dello scarso entusiasmo da lui riscontrato) e la medesima traduzione di F.S.M fu poco dopo integralmente pubblicata nel periodico scientifico che si stampava a Milano “Opuscoli Scelti sulle Scienze e sulle Arti37. Questo importante periodico seguì anche successivamente l’opera esplorativa di De Saussure. Vi furono infatti pubblicati in due articoli i primi risultati dell’ascensione e della lunga permanenza sul Colle del Gigante effettuata col figlio38 nel 1788. Questi due testi costituiscono una anticipazione, infatti confluiranno quasi integralmente nel quarto volume dei Voyages dans les Alpes, pubblicato assai più tardi, nel 1796.

L’interesse del Volta per l’ascensione di De Saussure fu particolarmente vivo se, pochi giorni dopo averne avuta la notizia, fece domanda per il permesso di un viaggio a Ginevra che effettuò verso la fine di settembre. Sfortunatamente Volta mancò l’incontro, essendo De Saussure a Torino, ma di quella visita ci è rimasto come ricordo un suo poemetto di circa 200 versi. Lo compose di getto in francese a Ginevra, traducendolo poi col titolo ”Omaggio al sig. di Sossure per la sua salita alla cima del monte Bianco e le sperienze ivi fatte ne’ primi d’agosto del 1787”, che si conclude con la proposta di dare alla montagna il nome Monsossure!39

Durier e Freshfield40 segnalano alcune composizioni poetiche scritte in onore di de Saussure, ma non citano quella del Volta e un altro poco noto ma assai più interessante frutto poetico di quell’avvenimento. Ne fu autore Ippolito Pindemonte (Verona 1753 – 1828), poeta della transizione tra neoclassicismo e romanticismo, che subisce il fascino dell’alta montagna, come dimostrano almeno tre sue poesie. Una dedicata al passaggio del Moncenisio e due frutto di una visita a Chamonix, episodio questo che non risulta sia mai stato approfondito41. Pindemonte partì ai primi d’agosto del 1788 da Torino per un lungo viaggio in Europa che lo porterà a Parigi. Per il Moncenisio raggiunse Ginevra, dove incontrò il filosofo e naturalista Charles Bonnet, de Saussure e Jean Senebier, primo biografo di quest’ultimo. Da qui risalì la valle dell’Arve, rimanendo colpito dall’insolita forma della cascata del Nant d’Arpenaz42, che gli ispirò la poesia intitolata Cascata tra Maglan e Sellenche nel Faucigny detta il Nant d’Arpenaz. Il fascino prodotto dalle cascate è una costante nell’avventura della scoperta della natura selvaggia montana. Poi salì fino ai piedi del Monte Bianco, dove la forte emozione della sua visione rivive nel carme Ghiacciaie di Bosson e del Montanvert nella Savoia. Il senso di meraviglia di fronte ad uno spettacolo naturale del tutto nuovo e imprevedibile, dove il reale sembra trasfigurarsi e sembrare più affine a una visione onirica, si riflette nel sottotitolo: Si finge di vedere ogni cosa in sogno. Al centro di questi 142 versi aggruppati in terzine vi è l’immagine di de Saussure che accompagnato dalle guide sale coi suoi strumenti scientifici sul Monte Bianco, c’è il suo lungo dialogo col poeta, con sullo sfondo l’immagine della bianca montagna immersa nella misteriosa luce notturna, durante il bivacco che precede la salita alla vetta. Visione grandiosa che sbigottisce il pur intrepido ginevrino, che confessa di aver tremato per quel senso di solitudine. Molti i temi che affiorano: dai drammatici contrasti della natura, alla testimonianza del turismo già presente, ai sentimenti e alle emozioni che suscita il raggiungimento di una vetta. Evidente è il clima romantico che pervade questa composizione, che meriterebbe di essere più conosciuta43.

L’ascensione di de Saussure ha quindi avuto anche da noi una notevole eco. É stata uno stimolo per salire le nostre montagne? Forse vi può essere un rapporto con l’ascensione della più alta cima degli Appennini che fu effettuata dal venticinquenne naturalista teramano Orazio Delfico. Convinto di essere stato il primo a calcare la sommità del Gran Sasso il 30 luglio 1794, pubblicò una relazione a Napoli nel 1796, di grande rarità e più nota nella ristampa in appendice dello studio storico del padre Giovanni Bernardino Delfico Dell’Interamnia Pretuzia. Napoli, 1812, col titolo Osservazioni di Orazio Delfico su di una piccola parte degli Appennini ... ecc. Dalla presentazione della sua relazione cito infatti: “ Iniziato negli studi della natura, giovane curioso e vedendo tutto giorno dalle mie finestre la sommità del gran Sasso d’Italia, non mi fu possibile il resistere agli impulsi della curiosità e dell’imitazione….. dell’attenzione de’ Filosofi che si arrampicarono…fra gli eterni geli delle Alpi e vollero pur misurarne e signoreggiarne l’altezza”. É qui evidente il riferimento alle imprese del ginevrino; espliciti poi sono i riferimenti alle opere di De Saussure, De Luc44 e di Ermenegildo Pini,45 conosciuti anche attraverso la rivista Opuscoli Scelti sulle Scienze e sulle Arti.

La soddisfazione di essere stato il primo a salire la massima vetta degli Appennini gli fu riconosciuta per lungo tempo. Ma curiosamente appena quattro anni dopo la pubblicazione della sua ristampa, usciva a Milano46, una Memoria intorno alla vita e alle opere di Francesco De Marchi di Giambattista Venturi, che metteva in discussione la sua priorità. Il Venturi aveva infatti rinvenuto un codice manoscritto del De Marchi, famoso architetto militare del XVI sec., in cui narrava la sua ascensione alla vetta del Gran Sasso il 19 agosto 1573. Un evento straordinario per la storia dell’alpinismo, ma che rimase ancora a lungo sconosciuto. Infatti anche la memoria del Venturi passò quasi del tutto inosservata e solo nel 1938 tutta la vicenda fu resa di pubblico dominio47.

1 Angelo Recalcati:Le prealpi Lombarde ritratte da Leonardo. Journal Achademia Leonardi Vinci, vol. X, pp. 125 – 133. Firenze, Giunti 1997.

2 Così Conrad Gesner (Zurigo 1516-1565) nella lettera a Jakob Vogel qui sotto citata.

3 Epistola ad Jacobum Avienum. De Montium admiratione, auctore Conrado Gesnero Medico. Pubblicata come introduzione alla sua opera sul latte e i prodotti latticini: Libellus de Lacte et operibus lactaris. Zurigo 1541. Gesner è anche autore della …Descriptio Montis Fracti, sive Montis Pilati… Zurigo 1555. Fu pubblicata a seguito dell’ascensione della leggendaria montagna presso Lucerna, il 21 agosto 1555.

4 De Prisca ac vera Alpina Rhaetia. Basilea 1538. Contemporaneamente Tschudi pubblicò la prima carta della Svizzera redatta con una certa accuratezza.

5 Per la figura di Simler e della sua opera vedasi W. A. B. Coolidge: Josias Simler et les Origines de l’Alpinisme jusqu’en 1600. Grenoble Impr. Allier Frères 1904.

6 La prima edizione fu pubblicata a Zurigo da Froschauer nel 1574, la seconda a Leida dagli Elzeviri nel 1633 e una terza nel Thesaurus Historiae Helveticae da Conrad Orelli a Zurigo nei 1735.

7 Simler cita 21 autori greci, 33 latini, 7 medioevali e 32 del XV e XVI sec. Grataroli, non citato da Simler, nacque a Bergamo (1516 c.) e studiò a Padova. Medico nella città natale, si trasferì a Basilea nel 1555 fino alla morte nel 1568. Quì pubblicò nel 1561: De regimine iter agentium, vel equitum, vel peditum, vel navi, vel curru seu rheda viatoribus et peregrinatoribus quibusque utilissimi libri duo. Un vero e proprio manuale per viaggiatori.

8 De’ Crostacei e degli altri marini corpi che si trovano su’ monti. Venezia Stefano Monti 1740

9 Ouresiphoites Helveticus, sive Itinera alpina tria Londra 1708. Ripubblicato a Leida nel 1723 notevolmente ampliata come Itinera per Helvetiae alpinas regiones. Vari membri della Royal Society ne sottoscrissero le edizioni, finanziando l’esecuzione delle incisioni su rame che le illustrano.

10 Nell’Alpine Journal 2001, p.143, un articolo di Peter Gillman: The Yeti footprints, avanza dubbi sulle famose impronte fotografate da Shipton nel ‘51, ritenendole non originali.

11 Mathias Merian e Martin Zeiller Topografia Helvetiae Rhetiae et Vallesiae, Fancoforte 1642. La tavola che riguarda i ghiacciai di Grindelwald è ripresa anche da Scheuchzer in Itinera Alpina…

12 Gilbert Burnet Burnet’s travels: or a collection of letters to the Hon. Robert Boyle esq…. new edition. London 1738 (la prima ed. è del 1686).

13 Si rimanda all’esauriente studio di Eugenio Pesci: La scoperta dei ghiacciai Torino 2001

14 Pubblicato in 3 vol. a Berna nel 1760.

15 Vedi Douglas W. Freshfield: The Life of Horace Benedict De Saussure, pp. 24-25.

16 Ne 1778 a Berna in forma abbreviata, anonima e con il falso luogo di stampa “London”.

17 J. H. Hottiger : Montium Glacialiun Helveticorum Descriptio. Norimburgae 1706. J. A. Altman: Versuch einer historischen und physischen Beschreibung der Helvetischen Eisbergen. Zürich 1751.

18 Effettivamente nelle due coeve traduzioni tedesche del volume di Bordier venne indicato come autore Bourrit. Il Voyage pitoresque… ebbe una tiratura di 1200 copie. Ora è molto raro.

19 Citata da Freshfield in The Life of Horace Benedict De Saussure p.144-5.

20 Il poemetto Die Alpen è all’interno della raccolta: Versuch Scheizericher Gedichten , pubblicate a Berna nel 1732 dal fratello N. Emanuel Haller. Vivo l’autore ne uscirono undici edizioni. Nel XVIII sec. vi furono almeno due traduzioni in italiano, pubblicate a Yverdon nel 1768, “… tradotte in versi italiani dal Sig. A. S….” e a Losanna, da Giegler nel 1797 “…tradotta dal tedesco in italiano da P. C.” Una nuova traduzione è stata pubblicata nel 1999 dalle edizioni Tararà, Verbania.

21 La sua monumentale opera botanica illustrata: Historia stirpium Helvetiae indigenarum inchoata in tre volumi pubblicata a Berna nel 1768 è la prima grande descrizione della flora alpina.

22 Vedi E. Pesci: La scoperta dei ghiacciai Torino 2001, p. 125

23 Vedi Douglas W. Freshfield: The Life of Horace Benedict De Saussure, p.84, che suggerisce l’analogia con cristallier, usato a Chamonix per indicare gli ardimentosi cercatori di cristalli.

24 Lettres de H.-B. de Saussure à sa femme commentées par E. Gaillard et H.F. Montagnier, Dardel Chambéry 1937, p. 71.

25 Bibliografia Storica degli Stati della Monarchia di Savoia. Compilata sulle schede Manno da Mario Zucchi Vol. X, Torino 1934, p. 244. Il fascicolo relativo al Monte Bianco era stato stampato il 31 luglio 1921, ma l’intero volume pubblicato solo 13 anni dopo. Devo rendere merito a Pietro Crivellaro per la segnalazione.

26 Dictionnaire Historique, Littéraire et Statistique dse Départements du Mont Blanc et du Léman, Chambery 1807. Terzo volume, p. 264

27 Bibliography of the Ascents of Mont Blanc from 1786 to 1853. Alpine Journal 1911, vol XXV, p. 614,

28 Henry F. Montagnier: Dr. Paccard’s lost Narrative. San Remo, 1911, p. 23.

29 Douglas W. Freshfield: The Life of Horace Benedict De Saussure, with the collaboration of Henry F. Montagnier. London 1920, p. 351. Traduz. francese Genéve 1924, p. 315.

30 Nella citata lettera lo stesso de Saussure lo indica come “mon protecteur”.

31 Lettres de H.-B. de Saussure à sa femme, op. cit. p.122.

32 De Saussure e il Monte Bianco, Courmayeur 1987, p. 77.

33 Pietro Spirito: La Montagna e i suoi Libri. in L’Esopo 1994.

34 Notizie biografiche in: Elogio dell’Accademico conte Sammartino della Motta scritto dal Prof. Giacinto Carena in Memorie della Reale Acc. delle Scienze di Torino Vol. XXV (1a serie), pp. 317-332. E in Vittorio Spreti: Enciclopedia Storico Nobiliare Italiana. Milano 1928,

35 Compendiosa relazione… op. cit. nota a p. 21

36 Notizia nell’Elogio di G. Carena, op. cit.

37 Si trova nel tomo X, 1787 tra le pp. 230 e 244. Il periodico fu fondato e pubblicato a Milano da Carlo Amoretti e Francesco Soave. Raccoglieva soprattutto saggi tradotti da periodici accademici europei con l’intento di tenere aggiornati gli ambienti scientifici e culturali lombardi, ma accolse anche comunicazioni originali dei più importanti esponenti dell’Illuminismo italiano, tra le quali gli annunci delle scoperte di Alessandro Volta. Uscì dal 1775 con cadenza mensile e col titolo Scelta di opuscoli interessanti tradotti da varie lingue. Dal 1778 al 1803 divenne bimestrale col nuovo titolo Opuscoli scelti sulle scienze e arti tratte dagli atti delle Accademie… La prima serie ebbe una ristampa a Torino.

38 Furono pubblicati due articoli, il primo nel tomo XI, parte VI,1788: ”Ragguaglio di un viaggio sulle Alpi del Sig. Di Saussure” , pp. 361-369, seguito con titolo più esplicito nel tomo XII, da pp. 56 a p. 68, “Osservazioni dai Sigg. De Saussure fatte al Colle del Gigante. Il “Si darà continuazione” annunciato al termine non avrà luogo. I due articoli furono tradotti dal Journal de Physique, il primo dal vol 33 parte II, settembre 1788 e il secondo dai vol 33 parte II, dicembre 1788 e vol 34 parte I, p. 161- 180. Anche qui al termine del secondo articolo c’è “la suite au prochaine numéro” , ma non vi sarà seguito.

39 Il poemetto fu pubblicato per la prima volta da Mario Cermenati in Il Volta Alpinista, Bollettino del Club Alpino Italiano 1899, vol XXXII, pp. 213-288.

40 Charles Durier: Le Mont Blanc Paris 1877, p. 125 . D.W. Freshfield: The Life of H. B. de Saussure op. cit. p. 238.

41 Cenni in Benassù Montanari: Della vita e delle opere di Ippolito Pindemonte. Venezia 1834.

42 Illustrata in una bella e grande incisione (tav IV) a fronte di p. 398 del vol. I dei Voyages dans les Alpes di de Saussure

43 Il dialogo poetico è certamente frutto dell’incontro avuto con de Saussure a Ginevra. Tutte tre le poesie furono pubblicate la prima volta solo dieci anni dopo in Poesie di Ippolito Pindemonte Veronese. Pisa dalla Nuova Tipografia, 1798. in 16°, IV, 237pp. Con un ritratto all’antiporta. Due anni dopo ebbero una pregevole edizione Bodoniana in due volumi. Cermenati (in op. cit.) riporta in appendice il carme Ghiacciaie di Bosson ecc. , mentre una sua parte era stata pubblicata da Davide Bertolotti nel suo Viaggio in Savoia, Torino 1828, alle p.213-215 e 235.

44 Cita i”Viaggi per le Alpi” di Saussure e il tomo III delle “Recherches sur les modifications de l’Atmosphere” di Jean André Deluc nella riediz. di Pargi del 1784.

45 Opuscoli scelti….Tomo IV, MDCCXXXI…. Il barnabita Pini intrattenne un rapporto epistolare con Gabriel Paccard, quando questi studiava all’Università di Torino, successivo a un incontro a Chamonix nel 1778. Vedi Alfonso Bernardi: Il Monte Bianco, Zanichelli 1965 vol. I p.237.

46 Presso Antonio Fortunato Stella, 1816. E’ nota anche una edizione stampata a Modena lo stesso anno.

47 Con l’esauriente studio di Mario Esposito La prima ascensione del Gran Sasso d’Italia e l’esplorazione della Grotta Amare (agosto 1573) secondo il racconto inedito di Francesco De Marchi da Bologna. in Bollettino della R. Società Geografica Italiana N° 2-3, 1938. p. 178-205.

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