BUZZATI SAGGISTA DI ALPINISMO

Questo articolo è stato pubblicato dal grande scrittore (e appassionato alpinista da …terzo grado, come si definiva) Dino Buzzati sul Corriere della Sera il 16 Settembre 1955. In effetti può sembrare un pò datato, non sempre condivisibile, sono infatti considerazioni scritte in un momento particolare di evoluzione dell’alpinismo e della società italiana. Ma tanti sono gli spunti originali di riflessione; e meritevole di elogio il suo appassionato “inno” alla collana CAI-TCI Guida Monti. La definirei meglio “Baedeker delle Altezze”, ma forse quando lui andava in montagna lo impressionavano di più gli abissi…

La recente clamorosa impresa di Walter Bonatti sul Petit Dru , nel gruppo del Monte Bianco, sembra smentire quanti ritenevano – compreso il sottoscritto- che la storia dell’alpinismo europeo fosse giunta all’ultimo capitolo. Dunque non era vero che i grandi problemi delle Alpi fossero stati tutti risolti ? Dunque non è vero che gli scalatori più forti ormai pensino soltanto alle cime dell’Imalaia e delle Ande? Dunque non è vero che l’alpinismo “di casa” sia un po’ stanco?

Per aver scritto, un paio di anni fa, che le Alpi erano “esaurite” e che, finita la possibilità di grandi cose nuove, fatalmente si sarebbe afflosciata la meravigliosa spinta degli uomini verso la montagna quale si era avuta nella prima metà del secolo, per aver scritto queste cose, dopo tutto abbastanza innocenti, per poco qualcuno non ci lapidò, quasi avessi infamato Garibaldi. Eppure la realtà rimane tale nonostante l’opinione di chi vuole negarla. Certamente la salita solitaria di Bonatti è uno dei massimi capolavori dell’alpinismo. Certamente in avvenire avremo notizia di qualche altra eccezionale “prima” sulle Alpi. Certamente esistono ancora pareti dove ì fuori-classe potranno scovare cose inedite, e ce n’è perfino di interamente vergini (personalmente ci permettiamo dì raccomandare le sinistre, allucinanti muraglie delle Pale di San Lucano che incombono sulla valle omonima, nell’Agordino).

Sulle Alpi, insomma, c’è ancora della gloria disponibile. Ciò non toglie la fondamentale verità di quanto già si disse: la grande parabola dell’alpinismo europeo è arrivata al termine e lo spirito dei pionieri è già rivolto ad altre lontanissime conquiste. Siamo, qui da noi al canto del cigno. Bonatti c’è ne ha fatto udire uno stupendo acuto. Altri ne udremo ma sempre più rari. Del resto questa fatale crisi, che non fa torto a nessuno, la si sente anche nell’aria; ed è facile avvertirne i sintomi.

Perché il mestiere della guida alpina è in netta decadenza? In certe valli la loro razza si è estinta. In altre, per campare, le guide fanno i maestri di sci, aprono negozi e alberghetti, o assumono la gestione di rifugi, ciò che una volta sarebbe parsa una “capitis diminutio”.

Perché – ed è il segno più notevole – benché la popolazione aumenti e l’accesso alle montagne diventi sempre più facile e comodo, tende a diminuire il numero degli alpinisti che facciano veramente dell’alpinismo? Non si possono dare qui cifre probanti. Per una statistica sicura bisognerebbe alla fine di ogni stagione fare un giro su tutte le cime delle Alpi e controllare i “libri delle vette”. Ma il parere di quanti battono le montagne è pressoché concorde. Grande affluenza nei rifugi, soprattutto se serviti da strade carrozzabili, funivie o seggiovie; sempre in gamba il ristretto gruppo degli “assi”; relativamente magra, invece, la schiera degli scalatori medi, quelli che si accontentano del terzo o quarto grado e che dovrebbero formare la massa. Forse perché gli Italiani sono portati agli estremi: o le grandi cose, o niente?

Ed ecco un altro indizio, benché soltanto simbolico. Ce lo ha fatto notare, a proposito di Bonatti, l’accademico Gaetano Polvara, uno dei più celebri “senza guida” della penultima generazione, autore di non sappiamo quante vie nuove, che conosce le guglie del Monte Bianco come casa sua.

Polvara che giudica la salita del Petit Dru per lo spigolo sud-ovest come una delle più grandi imprese, ne ha notato, non senza una punta di nostalgica soddisfazione, una singolare circostanza: il ritorno ad un espediente tecnico tipico del periodo eroico e che i maestri dell’arrampicamento moderno condannavano come una efferatezza: il lancio, cioè, della corda a un ronchione sovrastante per appendervisi e salire, sistema genialmente riesumato da Bonatti per risolvere il passaggio più scabroso. Ebbene, dice Polvara, non è indicativo e quasi commovente che l’eccesso medesimo delle difficoltà abbia ricondotto la giovanissima guida proprio alla tecnica dei padri e dei nonni?

Non mancano però, nel panorama dell’alpinismo di massa, le forze positive che si oppongono al declino. Se gli scalatori medi sono pochi, se la passione delle vette, così fortemente sentita dai giovani nei passati decenni, sembra quanto meno segnare il passo, se lo sci, la facile motorizzazione, il crescente gusto per il mare e gli sport relativi, distolgono molti giovani dalle rupi e dai ghiacciai, è altrettanto vero che nuovi motivi chiamano gli Italiani alla montagna, magari con rimedi meno eroici e per altri versi deprecabili: basti pensare alle strade carrozzabili, che si inerpicano fino alle basi delle pareti, alle funivie di Cervinia e Courmayeur che sollevano di peso in pochi minuti le persone più pigre a 3500 metri, mettendole a contatto con un mondo fantastico e sconosciuto, alle innumerevoli seggiovie che trasformano la faticosa salita ai rifugi in comode passeggiate. Chissà che qualcuno di questi pacifici turisti, guardando distrattamente le vette che lo attorniano, non senta nascere in sé un desiderio di rischi e avventure.

A questo punto cade giusto il discorso su di un’opera veramente grandiosa e meritoria, che ha giovato e gioverà moltissimo all’alpinismo. Si allude alla “Guida dei Monti d’Italia” nata dalla collaborazione del Club Alpino e da Touring Club. In qualsiasi valle vi troviate, da qualsiasi parte siano diretti i vostri sguardi, state sicuri: per ogni montagna che vedete, ogni valico,  ogni ghiacciaio, ogni picco, ogni guglia per piccola che sia, c’è stato chi si è preso la briga di studiarla, misurarla, rievocarne la storia, descriverne nei più minuti particolari i sentieri che vi portano, i rifugi che vi fanno la guardia e specialmente tutti gli itinerari di salita, dallevie normali a quelle di sesto grado superiore con varianti e sottovarianti. Basta pensarci un attimo per capire che razza di impresa si stata, tanto più che per molti gruppi mancava ogni letteratura preesistente e c’era da fare tutto di sana pianta: e per intuire quale responsabilità morale importasse perché un semplice errore di descrizione, una sbagliata valutazione di difficoltà, un aggettivo improprio possono in certi casi mettere in crisi una cordata e addirittura determinare una disgrazia.

Un corpus di tale vastità non si poteva realizzare senza l’impegno concentrico di tutte le persone competenti e senza una notevole larghezza di mezzi. Ma il pilota di questo complicato convoglio è uno solo, il dottor Silvio Saglio, che da molti anni dedica la sua vita all’impresa e presso il Touring Club, a Milano, dirige il grande quartier generale.

Il primo testo della collana è del 1934. Nonostante la forzata stasi della guerra ne sono seguiti altri tredici (di cui purtroppo alcuni da anni esauriti). Le Alpi Carniche, del compianto Ettore Castiglioni aggiornate da Saglio, l’Appennino Centrale, di Carlo Landi Vittori e l’Adamello, di Saglio e Gualtiero Laeng, sono le novità di quest’anno. Per la fine del 1955 sono attese le Alpi Orobie. Per il 1956 si annunciano la seconda parte della Dolomiti Orientali e il Bernina, a cui seguiranno il Monte Bianco, il Monte Rosa, le Cozie Meridionali e le Apuane. (Parallela a questo complesso editoriale, c’è poi la serie “Da Rifugio a Rifugio” destinata agli escursionisti, ai campeggiatori, ai semplici turisti a piedi o motorizzati più che agli alpinisti puri; anch’essa, nel genere, esemplare per completezza, facilità di consultazione e perfezione tipografica. Le ultime di questa serie sono le Alpi Retiche Meridionali e le Dolomiti Orientali entrambe a cura dell’infaticabile Saglio).

Di certo ben pochi libri al mondo hanno una vita intensa e agitata come questi “testi unici” degli abissi e della solitudine, questi Baedeker delle cattedrali più selvagge, dei castelli che nessuno mai abitò, dei fortilizi costruiti da Dio. Esistono testi di studio o di preghiera consultati con tanta avidità e attenzione? Lo stile è secco, scarno, sintetico, antiletterario, eppure certe pagine, con l’aiuto di un minimo di fantasia, sono più affascinanti di un romanzo. Avventurosi libretti vaganti su e giù per le montagne in una busta dello zaino, letti e riletti insaziabilmente in rifugio alla vigilia delle difficili ascensioni, ancora consultati all’indomani, per un improvviso smarrimento a metà parete, su un aereo terrazzino, quando sembra che proseguire sia impossibile: macchiati di gocce di candela, macerati dalla pioggia, anneriti dal fumo di rustici camini, spiegazzati dal vento, fedeli amici di poche parole che accompagnano fino al sole della vetta: e a cui ben pochi dicon grazie.

Dino Buzzati

Postato il Categorie Cultura Alpina
Itinera Alpina - di Angelo Recalcati - p.za Baiamonti, 3 - 20154 - MI - Tel: 02.33604325 - itineraalpina@fastwebnet.it | Privacy policy